
ECOLOGIST
Michele Grandolfo
Allattamento al Seno
Nell’era della medicina basata sulle prove scientifiche non è infrequente imbattersi nella scoperta dell’acqua calda, scoperta quanto mai opportuna per porre un freno alla pervasività tecnologica che aumenta i costi (e i guadagni per chi la produce) senza un corrispettivo di vantaggio per chi ne viene coinvolto, ma piuttosto possibili danni alla sua salute, intesa in senso specifico e complessivo.
Che nel giro di tre generazioni si sia passati da quasi tutti allattati al seno a lungo a quasi tutti, dopo un periodo iniziale più o meno breve, allattati artificialmente è sorprendente tanto quanto la variazione di lunghezza del camminare giornalmente a piedi. Stimolando i bambini delle scuole elementari a intervistare nonni e genitori su quanto a lungo si è stati allattati al seno: i nonni (in caso di mancanza veniva suggerito di “adottarne uno equivalente”), i genitori e i bambini stessi: invitando questi ultimi, come attività didattica, a rappresentare con istogrammi le tre distribuzioni si poteva cogliere a colpo d’occhio la diversità delle tre distribuzioni: con lunga coda a sinistra la prima, e con lunga coda a destra l’ultima (scuola elementare di Lenola[LT], 2004).
Nonostante il 95% delle neomamme dichiarino il loro desiderio di allattare al seno, oggi si sente molto frequentemente aggiungere: speriamo di avere il latte e di averlo buono. Con buona pace di Darwin.
Le prove scientifiche dicono in modo incontrovertibile la possibilità per tutte le donne, se lo desiderano, di allattare al seno, a richiesta, tanto a lungo quanto desiderano, fino a oltre due anni, vista la fisiologia dell’allattamento al seno (ecco l’acqua calda), e dicono anche che i vantaggi in termini di salute, sia per la mamma che per il bambino, sono enormi, comprendendo anche gli aspetti relazionali e dell’abitudine a una sana alimentazione (allattare a lungo a richiesta riduce drasticamente orari e cibi imposti).
Speriamo di avere il latte e di averlo buono. La perdita della memoria storica è stata impressionante e purtroppo non si possono escludere responsabilità specifiche da parte di chi assiste la gravidanza, il parto e il puerperio, essendo la stessa modalità dell’assistenza fortemente condizionante in termini di pesante interferenza della fisiologia dell’allattamento, per cui le neomamme debbono essere adeguatamente sostenute ad avviare e a mantenere l’allattamento al seno. Certo che se i neonati vengono allontanati dalla mamma, per pratiche eventualmente giustificate in casi rari, si produce una alterazione profonda dell’avvio dell’allattamento; alterazione indotta anche dal contenimento al nido dei neonati e la conseguente necessità di aggiunta di liquidi quando non di latte artificiale, e l’eventuale allattamento ad orario e non a richiesta, essendo la modalità a richiesta una formidabile espressione di competenza del neonato a rappresentare i suoi bisogni.
La competenza, appunto. L’attuale medicalizzazione della nascita appare sempre più una formidabile operazione finalizzata a distruggere il senso di competenza delle donne e, successivamente, dei bambini, proponendo violentemente uno spostamento del controllo del proprio stato di salute da sé al professionista, in totale contrasto con quanto recita la Carta di Ottawa sulla promozione della salute, che ha come obiettivo l’aumento della capacità di controllo delle persone sul proprio stato di salute. È interessante cogliere la grave contraddizione tra l’eccesso di investigazioni diagnostiche, senza tener conto del rischio di falsi positivi che dipende dalla prevalenza delle condizioni che si vogliono evidenziare, eseguite frequentemente con scarsa garanzia di qualità e la assoluta povertà di informazioni e di counselling che la donna riceve in gravidanza, al parto e in purperio.
È comprensibile il senso di ansietà della donna che nell’attuale periodo storico realizza il suo desiderio di fecondità in modo strettamente controllato e limitato nel numero, è molto meno comprensibile che ci sia una strumentalizzazione di tale stato d’animo con l’azione talvolta francamente terroristica di paventare pericoli in ogni momento proponendo soluzioni che non hanno alcuna base scientifica e, soprattutto, non sostenendola attraverso la valorizzazione delle sue competenze e non “negoziando” le soluzioni. Per non parlare delle occasioni perdute di approfondimento della conoscenza emotiva del proprio corpo, della fisiologia, dell’alimentazione, dei servizi pubblici, delle norme e dei diritti.
Le donne in gravidanza si pongono domande sulle necessità di cambiamento in seguito allo stato nuovo che si sta vivendo. E la disponibilità al cambiamento è diffusa. Basti pensare che la metà delle donne fumatrici smette di fumare entrando in gravidanza e l’altra metà riduce del 50% il consumo di sigaretta. A tale proposito la ripresa del fumo di sigaretta è condizionata dalla modalità dell’allattamento: entro due mesi dalla nascita riprende a fumare il 50% se l’allattamento è artificiale, poco più del 20% se l’allattamento è complementare (misto) e circa il 10% se l’allattamento è esclusivo o predominante. Una riflessione che scaturisce da questi risultati porta a dire che non c’è migliore campagna contro il fumo di sigaretta che la promozione, il sostegno e la protezione dell’allattamento al seno, esempio emblematico di strategie comunicative basate sull’empowerment, piuttosto che su messaggi terroristici.
Tornando all’alimentazione, non c’è donna che non si interroghi e non ponga domande sul regime alimentare e sulla conseguente necessità di adattamento o cambiamento in relazione allo stato di gravidanza e, successivamente, dell’allattamento in puerperio. In effetti se il regime alimentare è equilibrato come nel caso della dieta mediterranea, per una esemplificazione estrema, nessuna modifica si rende necessaria se non con una maggiore attenzione alla adeguata assunzione di calcio. Poiché a seguire una abitudine alimentare equilibrata non sono molte e si va perdendo la cultura della dieta mediterranea, quale migliore occasione c’è oltre lo stato di gravidanza per attivare la riflessione sui regimi alimentari (a partire dai vissuti quotidiani) e sull’attività fisica che si stanno seguendo al fine di predisporre le condizioni per un ripensamento e lo sviluppo di nuove competenze e consapevolezze, anche attraverso il recupero della memoria storica. È del tutto evidente che un tale processo produce beneficio per tutta la famiglia. Quanti pregiudizi sugli alimenti da proibire sia in gravidanza che in puerperio quando invece è proprio in tali momenti che la persona che nasce comincia a sperimentare la varietà dei sapori.
L’allattamento a richiesta valorizza la competenza del neonato a esprimere i propri bisogni piuttosto che condizionarli a modalità e tempi imposti, inoltre favorisce la contiguità fisica con la madre anche quando si trova a mangiare, offrendo una eccezionale opportunità al bambino di apprendere osservando e di testare i sapori allungando le mani e portandole alla bocca: l’attenzione non invasiva degli adulti permette di evitare incidenti. La curiosità verso i cibi presenti in tavola e l’emulazione degli adulti oltre alla consuetudine dei sapori sperimentati di volta in volta favorisce un processo di svezzamento dolce e naturale (di qui l’importanza di una alimentazione equilibrata della famiglia) che avviene valorizzando le competenze del bambino e non coartandole attraverso la regolazione concentrazionaria dei modelli imposti dalla pseudo scienza (certi regimi alimentari proposti dalle industrie con la mediazione interessata dei tecnici non trovano fondamento scientifico) che si è imposta contro la scienza delle donne che in percorsi secolari caratterizzati da scarsità di risorse hanno “inventato” la “dieta mediterranea” attraverso il processo “trial and error” sotto la costante esigenza di raggiungere tre obiettivi: sazietà dopo il pasto, nutrizione adeguata per sostenere le pesanti attività giornaliere e, ultimo ma non meno importante, godimento. L’arroganza tecnologica nel proporsi oltre il necessario (per cui è benvenuta) non può vantare meriti visto il disastro della prevalenza di soprappeso e di obesità in età pediatrica. Forse si dovrebbe esercitare maggiore umiltà, piuttosto che scaricare le colpe sui genitori e riconoscere la perversione del non sostegno, quando non esplicita dissuasione, dell’allattamento al seno esclusivo almeno fino a sei mesi e persistente fino a oltre due anni se la mamma lo vuole.
Con quali esiti?
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