
Corso di Laurea in Ostetricia
CORSO DI AGGIORNAMENTO “Percorso CedAP: dalla corretta compilazione in sala parto alle potenzialità valutative dei servizi.”
Perugia, 6/10/06
Michele E. Grandolfo
Centro Nazionale di Epidemiologia Sorveglianza e Promozione della Salute
Istituto Superiore di Sanità
Tel: 06 49904309/11 - Fax: 06 49904310 - E-mail: michele.grandolfo@iss.it
La Sanità Pubblica ha ragione di esistere solo se è in grado di ridurre gli effetti sulla salute delle disuguaglianze sociali. Se questo obiettivo viene raggiunto ogni persona della comunità nazionale ne trae beneficio, qualunque sia la sua condizione sociale, perché lo stato di salute di ciascuna persona dipende dallo stato di salute di tutte le altre, nessuna esclusa. Questo risultato, scientificamente comprovato, giustifica la proporzionalità in relazione al reddito della contribuzione per garantire i servizi sanitari.
Perché questo obiettivo, di rilevanza costituzionale, sia perseguito è necessario che il sistema nel suo complesso operi nella prospettiva della promozione della salute, secondo la definizione della Carta di Ottawa (1986). L’attività di promozione della salute ha l’obiettivo finale di aumentare la capacità di controllo sul proprio stato di salute da parte di ogni singola persona costituente la comunità.
Quindi si può concludere che un sistema sanitario pubblico ha ragione di essere se, e soltanto se, promuove l’autonomia delle persone nella gestione del proprio stato di salute.
In tale prospettiva, si deve assumere un cambiamento radicale di paradigma, vera e propria rivoluzione copernicana, sia per quanto attiene il modello di welfare, sia per quanto attiene il modello della salute che lo sottende.
La promozione dell’autonomia delle persone (processo di empowerment) si realizza se il modello di welfare è fondato sulla partecipazione e sull’empowerment, e assume che le persone sono competenti, e su tale competenza è necessario investire. Ben altra prospettiva rispetto al modello paternalistico direttivo di bismarkiana memoria, fondato alla fine del diciannovesimo secolo e durato fino all’inizio del secondo dopoguerra del ventesimo secolo. Il vecchio modello, sotteso da un modello biomedico di salute, assegnava al tecnico la responsabilità di stabilire e disporre gli interventi che le persone dovevano accettare in quanto incompetenti e sotto tutela.
L’assunzione della competenza (potenziale) delle persone apre la prospettiva verso un modello sociale di salute, secondo il quale i determinanti sociali sono le cause dietro le cause biologiche. Nel modello sociale di salute l’assunzione della competenza della persona è essenziale, a partire dalla constatazione che tali determinanti della salute possono essere conosciuti adeguatamente solo se la persona stessa viene messa in condizione di poterli esprimere. Sia l’attività di cura e riabilitazione, dal processo diagnostico alla costituzione dell’alleanza terapeutica, sia l’attività di promozione della salute devono partire necessariamente dal riconoscimento, da parte dell’operatore e della persona, dei determinanti sociali, con la riflessione sui vissuti quotidiani e sulla memoria storica della comunità di appartenenza. Ed è compito professionale primario di chi opera per la tutela e promozione della salute esercitare l’arte della maieutica nella relazione con la persona, perché faccia emergere alla propria consapevolezza e a quella del professionista i determinanti sociali del proprio stato di salute.
I nuovi paradigmi sollecitano verso l’organizzazione di servizi sociosanitari di base integrati e con competenze multidisciplinari capaci di svolgere questa funzione maieutica essenziale.
I consultori familiari, intuizione geniale del movimento delle donne, sono stati istituiti per rispondere all’esigenza di comprensione dei determinanti sociali (modello sociale di salute) con la equipe multidisciplinare e di impostare le relazioni in modo non paternalistico e non direttivo per promuovere l’autodeterminazione delle persone (modello di welfare partecipativo). Solo dopo un quarto di secolo l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha preso coscienza che i servizi di “primary health care, con particolare riferimento all’area della “maternal & child health”, dovessero avere tali caratteristiche. A livello internazionale il concetto di autodeterminazione è stato posto all’ordine del giorno con la Carta di Ottawa sulla promozione della salute, definita come l’insieme delle attività che hanno come obiettivo l’aumento della capacità delle persone di avere controllo sul proprio stato di salute.
Perché l’attività di promozione della salute raggiunga l’obiettivo cui tende – l’autodeterminazione della persona – è necessario, pena il sicuro fallimento, che vengano assunti e praticati i termini di riferimento detti.
Un welfare della partecipazione significa è che competenza dell’operatore (dell’equipe multidisciplinare) interagire con la persona in un rapporto paritario basato sul rispetto, sulla gentilezza, sull’empatia e sulla compassione. Significa anche che quando la comunicazione non è efficace perché si frappongono barriere, è compito dell’operatore riconoscerne la natura (fisica, psicologica, culturale, sociale, etica, antropologica) assumendo con umiltà (base fondamentale per la conoscenza) la responsabilità dell’errore di comunicazione. L’errore nasce dalla inadeguatezza del modello interpretativo che viene assunto nell’interagire con la persona e tale inadeguatezza può dipendere dai paradigmi che sostengono la visione del mondo del professionista. Cogliendo i segnali con attenzione ed eventualmente investigando sui motivi della non accettazione, può essere in grado di stimare i fattori di rischio del fallimento della comunicazione e tentare creativamente strade innovative. L’umiltà è essenziale per mettere in discussione la propria visione del mondo e per evitare di cadere nella trappola autoreferenziale del biasimo delle vittime, vera tomba della professionalità.
Se la promozione della salute può essere considerata l’attività emblematica, quindi cartina di tornasole, della sanità pubblica perché la sua qualità dipende dai paradigmi concretamente assunti dal sistema, appare evidente l’attenzione verso la salute della donna e dell’età evolutiva.
E ci sono non una ma due buone ragioni: in primo luogo si tratta di settori forti della popolazione. Le donne perché pilastri delle famiglie e le nuove generazioni perché con maggiore patrimonio di salute, entrambi capaci di irradiare nello tessuto sociale, a partire dal sistema delle relazioni familiari gli effetti della promozione della salute. La seconda ragione è che l’attività prevalente che riguarda tali settori di popolazione attiene alla fisiologia, in cui la valorizzazione del patrimonio di salute e il suo potenziamento rappresentano lo scopo ultimo dell’azione.
In tale prospettiva qualunque eccesso di medicalizzazione non trova la pur minima giustificazione che potrebbe esserci quando si ha a che fare con la sofferenza, nel qual caso il tentativo di provare soluzioni che si sa in partenza essere non efficaci si propone costantemente e a cui è obbiettivamente difficile sottrarsi.
Quindi si può assumere che la salute della donna e dell’età evolutiva sono cartina di tornasole della qualità dei sistemi sociosanitari e, in definitiva, dei modelli di società. Più specificamente sono cartina di tornasole del modello di welfare e del modello di salute, rispettivamente praticato ed assunto.
L’età evolutiva merita di essere coinvolta per la promozione della salute soprattutto nel contesto scolastico, luogo deputato per eccellenza alla promozione della consapevolezza e della competenza, e la promozione della salute può essere particolarmente sostenuta dal processo curriculare formale (intelligentemente svolto) e, a sua volta, vivifica il processo formativo formale, evidenziando i nessi tra l’esperienza quotidiana di ogni persona e le grandi direttrici dell’evoluzione umana.
L’ambito della nascita vede la donna esprimersi nella dimensione più alta della potenza e della competenza, quella creativa. Non c’è un momento più appropriato per investire nella promozione della salute del percorso della nascita. Si ha il massimo della disponibilità a riflettere sul proprio stato di salute, al fine di assicurare le migliori condizioni per la persona che nasce.
Così il 50% delle donne che fumano smettono di farlo e chi seguita a fumare riduce mediamente della metà il numero di sigarette (indagine ISS, 1996). Per inciso, tra quelle che hanno smesso, riprende a fumare entro due mesi dal parto il 50% di chi allatta artificialmente, il 22% di chi allatta in modo misto (complementare) e solo l’11% di chi allatta al seno in modo elusivo o predominante. Piuttosto che condurre campagne con venature moralistiche e, talvolta, terroristiche contro il fumo di sigaretta in gravidanza e durante il puerperio, si avrebbero risultati straordinari nella lotta al tabagismo se si promuovesse efficacemente l’allattamento al seno, esclusivo almeno fino a sei mesi e, accompagnando lo svezzamento, anche fino a due anni e oltre. Si tratta, peraltro, di aiutare le donne a realizzare un loro ripetutamente dichiarato desiderio: almeno il 95% delle donne intervistate vuole allattare al seno.
Non va anche sottovalutata la generalizzata attenzione all’alimentazione, non solo in gravidanza ma anche durante il puerperio: generalmente aumenta il consumo di frutta e verdura, anche per la prevenzione dei difetti del tubo neurale, e in generale ci si orienta verso una dieta più equilibrata. Non c’è occasione migliore per promuovere consapevolezza e competenza sull’alimentazione, tenendo conto che generalmente è comunque la donna a gestire questo aspetto essenziale della vita quotidiana della famiglia.
Certo è sorprendente il risultato di una indagine pilota sull’acido folico, condotta recentemente dall’ISS da cui risulta che se oltre il 90% delle donne assume acido folico in gravidanza, solo il 4% lo fa nel periodo periconcezionale e, a dimostrazione di una clamorosa mancata opportunità, di più le primipare che le pluripare, risultato paradossale che mette in evidenza una colossale mancata opportunità che non si è colta nella gravidanza precedente, tenendo conto che oltre il 70% delle gravidanze vengono programmate e che tra la decisione di realizzare il desiderio di fecondità e rimanere incinta non passano generalmente più di due mesi. Non si comprende come si possa prescrivere l’acido folico senza promuovere efficacemente la consapevolezza della sua importanza preventiva.
Ma anche la procreazione consapevole rappresenta un tema verso il quale le donne hanno una potenziale disponibilità a riflettere, così come altri argomenti, come, per esempio, le vaccinazioni. Le indagini dell’ISS (2002) confermano che se gli argomenti citati vengono considerati nell’attività di counselling durante il percorso della nascita o nei corsi di accompagnamento alla nascita (vere palestre per l’empowerment, se ben condotti) le donne “esposte” utilizzano con il loro partner alla ripresa dei rapporti sessuali (generalmente entro due mesi dal parto) i metodi della procreazione consapevole più efficaci, e vaccinano più tempestivamente i figli.
Il problema generale della nascita nel nostro Paese è la clamorosa contraddizione tra la modestissima azione di informazione e di counselling sui temi indicati e sugli altri attinenti il percorso nascita da parte di chi segue la gravidanza, così come durante i pochi giorni di permanenza nel centro nascita e l’eccesso di esami e indagini spesso inutili e potenzialmente dannosi, non fosse altro che per il rischio di falso positivo. Tale rischio, quando si ha a che fare con una indagine che può contare su una sensibilità e una specificità (nella pratica effettiva) entrambe del 95%, è pari al 50%, cioè uno su due rilevati positivi dal test sono falsi positivi, se la prevalenza della condizione che si vuole investigare è del 5% nella popolazione; mentre è pari all’84%, cioè sono falsi cinque su sei positivi al test, se la prevalenza della condizione è dell’1%.
L’indagine citata dell’ISS ha evidenziato che le ostetriche e i consultori familiari, che seguono però complessivamente meno del 10% delle gravidanze, forniscono informazioni più adeguate rispetto ai ginecologi. Così come nei corsi di accompagnamento alla nascita condotti dai consultori familiari pubblici si svolgono attività e si forniscono informazioni in modo più adeguato rispetto a quelli condotti negli ospedali o da privati. Purtroppo ai corsi partecipano le donne più istruite e quelle occupate, a causa della mancanza dell’offerta attiva, per la scarsità delle risorse umane nei consultori e a causa della mancanza dei consultori stessi, soprattutto al Sud. È superfluo dire che le donne che non frequentano i corsi sono quelle che ne avrebbero più bisogno, a dimostrazione di quanto sarebbe fondamentale che le attività consultoriali fossero riqualificate ed orientate secondo le indicazioni del Progetto Obiettivo Materno Infantile (POMI).
Per non parlare del modo in cui si partorisce: ancora una volta l’eccesso di parti con taglio cesareo ha ormai superato ogni livello di decenza e la comunità dei tecnici si dovrebbe vergognare di ammettere che si operi in così clamorosa contraddizione rispetto all’evidenza delle prove scientifiche (è utile ricordare che la pretesa autorevolezza dei tecnici rispetto alla cultura sapienziale dovrebbe fondare sul rigoroso rispetto delle evidenze scientifiche). La conferma che non c’è giustificazione medica per “l’epidemia” dei tagli cesarei, senza uguali nel resto del mondo industrializzato, è la maggiore prevalenza al Sud, dove si registrano meno gravidanze problematiche, nei centri nascita più piccoli (con un chiaro gradiente) e in quelli convenzionati e, ancora di più, in quelli privati. Se il taglio cesareo è salvavita, quando necessario, in tal caso dovrebbe avere una prevalenza non superiore al 15%, e il rischio associato a tale procedura (aumento di due volte della mortalità neonatale e di quattro volte quella materna) è ampiamente compensato dal rischio corrispondente all’indicazione medica, quando il taglio cesareo non è indicato significa consumare più risorse preziose con maggior danno per la salute.
Se si riuscirà nel nostro Paese a realizzare un sistema di sorveglianza attivo sulla mortalità materna, come l’ISS sta proponendo da tempo, si può scommettere qualunque cifra che tale sistema, se condotto scientificamente, rivelerà l’effetto nefasto dell’indebita epidemia.
Anche in caso di parto spontaneo le pratiche non raccomandate sono prevalenti nel nostro Paese, dall’induzione all’episiotomia, per finire con l’epidurale (oggi di gran moda): molto al di là di quanto ci si aspetterebbe tenendo conto delle indicazioni scientificamente fondate. Non è solo la donna che paga le conseguenze di modalità operative che non trovano giustificazione scientifica, anche le persone che nascono, come si è accennato, subiscono un insulto alla loro salute (dal taglio cesareo all’epidurale), così come devono subire una violenza inusitata quando non viene permesso con tempestività il contatto pelle-pelle, essenziale per l’avvio dell’allattamento al seno, per non parlare della costrizione al nido, dell’allattamento a ore, delle “aggiunte” e così via. In definitiva, la generalizzazione di pratiche raramente necessarie e, talvolta, salvavita, appare ormai aver superato ogni limite.
Non c’è giustificazione scientifica perché esperti di patologia seguano gravidanze e parti fisiologici. L’ostetrica ha tale competenza, riconosciuta dalle norme; agisce in completa autonomia, essendo sua competenza professionale riconoscere la condizione di rischio e in tal caso richiedere l’intervento dell’esperto di patologia, ma seguitando ad operare per assicurare lo sviluppo e la valorizzazione della competenza della donna e della persona che nasce.
Non c’è nessuna giustificazione giuridica che impedisca che le ostetriche possano prescrivere (analisi e farmaci, secondo protocolli specifici) quanto è necessario per il follow-up di una gravidanza, di un parto e di un puerperio fisiologici, (come è loro consentito in Francia). Le indagini dell’ISS dimostrano che quando la nascita è presa in carico, in tutto o in parte, dai consultori familiari pubblici e dalle ostetriche, si ha la maggiore esposizione alle pratiche raccomandate dalle conoscenze scientifiche disponibili e dalle norme attualmente vigenti. Si ha anche una minore esposizione a quelle non raccomandate.
Un cenno all’allattamento al seno, giusto per dire che il solo fatto che centri nascita che si possono fregiare del titolo UNICEF “ospedali amici dei bambini” siano meno del due percento, sul territorio nazionale, esprime in modo sintetico la follia della non promozione, non sostegno e non protezione dell’allattamento al seno.
Non si fa abbastanza in termini di informazione e sostegno per valorizzare e sviluppare la competenza delle donne e delle persone che nascono, ma si fa troppo in termini di pratiche inutili e, talvolta, dannose, contro ogni evidenza scientifica. Cioè a dire che proprio nella circostanza in cui sarebbe massima la resa dell’investimento per la promozione della salute, non solo non si fa abbastanza ma, all’opposto, si opera impedendo l’espressione della competenza, con effetti disastrosi con la persona che nasce (che purtroppo ha solo il pianto e non è in grado di inveire con improperi, né adire alle vie legali).
È noto che tale operazione di inibizione mortifica la persona e rischia di indurla in depressione, quando si ha successo nell’induzione del senso di inadeguatezza e di incompetenza (col biasimo delle vittime), come accade nel molto studiato fenomeno del “mobbing”.
Ed ecco il biasimo delle vittime: si afferma che sono le donne che chiedono il taglio cesareo, trascurando di menzionare quali informazioni vengono fornite, soprattutto sui rischi delle varie alternative, e non menzionando con quale approccio, che non è difficile immaginare “terroristico”, vengono fornite informazioni su una sola delle altenative.
Un cenno alla cosiddetta medicina difensiva. Se si espropria la donna della sua competenza, si induce senso di inadeguatezza, non la si informa adeguatamente, non si costruisce una alleanza, non ci si deve meravigliare che parta una richiesta risarcitoria quando si presenta un danno. Peraltro va ricordato che nelle vertenze davanti al magistrato intervengono medici legali che contribuiscono a valutare i processi decisionali a partire dall’accaduto e non dalla valutazione delle probabilità di rischio assunte per le diverse alternative che si offrivano al processo decisionale.
E si afferma che sono le donne a non voler allattare al seno. E meno male che non si azzardano a dire che sono le persone che nascono che non vogliono il latte materno (ma qualche sconsiderato c’è pure).
Le indagini dell’ISS, ben due, e l’ultima indagine multiscopo dell’ISTAT smentiscono clamorosamente la legittimità del biasimo delle vittime. Le donne preferiscono di gran lunga il parto spontaneo, sia che abbiano partorito spontaneamente (90%), sia che abbiano avuto il taglio cesareo (70%). Le stesse percentuali si hanno considerando donne con esperienza di parto precedente, spontaneo o con cesareo. Le stesse indagini confermano che il 95% delle donne desidera allattare al seno.
In sintesi, la medicalizzazione non è solo l’espressione di una indebita espansione di un mercato che specula sulla salute, quanto piuttosto un tentativo subdolo di espropriazione della persona della capacità di controllo sul proprio stato di salute. Solo in questa luce può divenire comprensibile che si accetti di esporsi a pratiche inutili e dannose come è il taglio cesareo, quando non sono date le condizioni che lo rendono necessario (non più del 10-15% dei parti, nel qual caso è salvavita). Come diviene comprensibile che venga più o meno esplicitamente ostacolato l’avvio e il proseguimento dell’allattamento al seno, impedendo alla persona nata di essere immediatamente a contatto pelle-pelle con la mamma in modo da poter esplicare la sua competenza a cercare il seno ed attaccarsi. L’aspetto più paradossale ed inaccettabile è l’induzione del senso di inadeguatezza ed incompetenza: le donne che smettono di allattare o non iniziano non avendo motivi per farlo non dicono che sono state consigliate da qualcuno ma dichiarano che il loro latte era insufficiente o non buono a dispetto della fisiologia, delle prove scientifiche e, prima ancora, alla faccia di Darwin.
Il POMI, come si è detto, rappresenta il termine di riferimento normativo sia riguardo gli obiettivi che devono essere perseguiti, dalla offerta attiva dei corsi di accompagnamento alla nascita alla demedicalizzazione dell’intero percorso, dalla offerta attiva dell’assistenza in puerperio al sostegno dell’allattamento al seno. Delinea le azioni raccomandate, i risultati da ottenere e gli obiettivi da raggiungere, con il corredo dei corrispondenti indicatori. Inoltre, sceglie una opzione strategica sul ruolo centrale dei consultori familiari, per i quali indica la necessità e la modalità del loro potenziamento e riqualificazione per svolgere le attività raccomandate.
Il percorso della nascita quindi si presta molto bene per valutare se i servizi socio-sanitari operano secondo lo spirito di aumentare le competenze delle persone oppure se agiscono inducendo senso di incompetenza. Un sistema di rilevazione sistematica della nascita con recupero dell’informazione attraverso un’intervista alla mamma sui servizi con cui ha interagito e le esposizioni (indagini, patologie insorte o preesistenti, corsi frequentati e tipo di assistenza) durante la gravidanza, e di nuovo intervista sulle modalità del travaglio parto, anche con l’ausilio della cartella ostetrica e sugli esiti del parto sia riguardo la sua salute sia riguardo la salute del nato/a e sulla modalità di avviamento dell’allattamento al seno permette di formulare ipotesi esplorative sui fattori di rischio di esposizione alle pratiche inutili, e sui fattori favorenti l’esposizione a quelle raccomandate, sulla loro influenza su alcuni esiti, il più importante dei quali è l’allattamento al seno.
I Certificati di assistenza al parto (CedAP), da compilare per ogni nascita, si prestano per realizzare un sistema informativo adeguato per l’autovalutazione delle attività che il centro nascita svolge, e per permettere il confronto tra centri nascita (valutazione esterna), l’insieme dei CedAP delle nascite da donne residenti in definite aree territoriali permette di valutare la qualità dell’assistenza in gravidanza e quanto tale assistenza abbia influito sugli aspetti essenziali della nascita stessa.
I CedAP non coprono il puerperio, tuttavia va detto che quello che si determina durante la gravidanza e, soprattutto, al parto condiziona l’evoluzione del puerperio. Oltre a quanto già accennato sull’importanza dell’informazione e del counselling, le indagini dell’ISS hanno mostrato che se si esce dal centro nascita allattando in modo esclusivo, l’allattamento stesso o almeno predominante dura molto più a lungo, così come la durata complessiva dell’allattamento comunque al seno è maggiore. Da notare che il tempo di attaccamento al seno è un fattore determinante per l’avviamento corretto dell’allattamento ed è associato all’allattamento esclusivo, così come lo è il rooming in, dal momento che permette l’allattamento a richiesta.
La demedicalizzazione (riduzione delle analisi e degli interventi inutili e non raccomandati), l’offerta attiva dei corsi di accompagnamento alla nascita, l’attaccamento precoce, il rooming in, la promozione, il sostegno e la protezione dell’allattamento al seno, in gravidanza, al parto e in puerperio sono, come si è detto, raccomandati dal POMI. Quanto sono diffuse le pratiche raccomandate? E quanto quelle non raccomandate? Quali sono i fattori associati alle une e alle altre? Quanto, quindi, i servizi territoriali ed ospedalieri promuovono quanto raccomandato ed evitano le pratiche inutili e dannose?
Qui si colloca l’importanza dei certificati di assistenza al parto.
Purtroppo il modello standard raccoglie molte informazioni utili per valutazioni demografiche ma considera solo alcune informazioni per valutare la qualità del servizio sociosanitario impegnato nel percorso nascita e, specificamente, quanto il POMI sia applicato. Alcune realtà regionali hanno prodotto modelli più completi, e la provincia autonoma di Trento si distingue per completezza e qualità,
Quali sono le condizioni perché i CedAP possano essere efficacemente utilizzati come strumenti per la valutazione?
La prima condizione è che il sistema di sorveglianza attiva preveda che i luoghi dove si raccolgono le informazioni siano attrezzati, anche mediante adeguata informatizzazione, non solo a registrare ma anche a elaborare i dati raccolti così che il servizio sia in grado di apprezzare in tempo reale quanto il quadro che emerge dall’analisi sia aderente ai risultati e agli obiettivi che si è impegnati a perseguire. La seconda condizione è che il coordinatore locale (a livello di ASL o a livello di Regione) del sistema di sorveglianza, nell’analizzare i dati mettendo a confronto le articolazioni territoriali, favorisca e stimoli il confronto tra le diverse realtà, in modo da far emergere ipotesi, da confermare, eventualmente, con approfondimenti e con indagini campionarie ad hoc, sui fattori associati alla non aderenza agli obiettivi normati e su quelli associati alle differenze tra i servizi per le attività, i risultati e gli obiettivi, alla luce delle conoscenze scientifiche disponibili nel contesto internazionale.
Sulla base delle riflessioni, ecco la terza condizione, dovrebbero essere presi provvedimenti riguardo sia l’aggiornamento professionale (ecco una seria applicazione del concetto di ECM), sia la riprogettazione operativa dei servizi, affidando all’elaborazione successiva il compito di verificare che la riqualificazione abbia avuto i risultati auspicati di miglioramento dei servizi.
La conoscenza degli elaborati e dei rapporti devono essere posti a disposizione della comunità in generale e delle autorità politiche locali, per opportuna conoscenza e per fondare i processi decisionali, visto il loro ruolo nella conferenza sanitaria locale.
Rispettare le tre condizioni costituisce il fattore determinante perché le informazioni sui modelli vengano raccolte con completezza ed accuratezza, condizioni queste fondamentali perché le analisi e i risultati abbiano senso.
In estrema sintesi sarebbe interessante verificare l’associazione tra figura professionale che ha assistito principalmente in gravidanza ed esposizione agli esami, alle indagini e ai corsi di accompagnamento alla nascita, alle modalità del parto e dell’avvio dell’allattamento al seno, controllando per i fattori socio-demografici (età, istruzione, occupazione parità) per il tipo di gravidanza (fisiologica o patologica). In particolare,sarebbe interessante costruire tabelle che descrivono, per le nascite da donne residenti nel distretto, nella ASL o nella Regione
1 - l’associazione tra chi ha principalmente assistito la gravidanza e l’esecuzione di più di tre ecografie (variabile dipendente); “aggiustando” per età, parità, istruzione, occupazione e tipo di gravidanza*
- variabile n % N ORgr l.c.(95%) ORagg l.c.(95%) p
- Prof/serv
- Gin pub n11 N11 1 1
- Gin pr. n12 N12 [n12x(N11-n11)]/[n11x(N12-n12)]
- C.F. n13 N13
- ostetrica n14 N14
- Età
- <=29 n21 N21 1 1
- 30-34 n22 N22
- >=35 n23 N23
- Parità
- primipara n31 N31 1 1
- pluripara n32 N32
- istruzione
- <=medinf n41 N41 1 1
- >=medsup n42 N42
- occupazione
- casalinga n51 N51 1 1
- occupata n52 N52
- gravidanza
- fisiologica n61 N61 1 1
- patologica n62 N62
*(n è il numero di certificati in cui si riportano più di 3 ecografie ed N è il numero totale di certificati con la modalità della variabile indicata, essendo %=100xn/N, ORgr e ORagg rispettivamente gli odds ratio grezzo e aggiustato per le altre variabili considerate nella tabella (cioè l’ORagg misura l’effetto indipendente della variabile considerata sull’aver effettuato più di tre ecografie, l.c. i limiti di confidenza e p la probabilità di avere il valore di OR ottenuto, nell’ipotesi che non ci sia associazione tra la variabile considerata e la variabile dipendente in studio ). L’ORgr si ottiene dalla formula riportata in tabella e i suoi limiti di confidenza si ricavano tenendo conto che il logaritmo di OR ha limiti fiduciali: +/- 1.96 x √(1/n11 + 1/(N11-n11) +1/n12 +1/(N12-n12)); calcolati i quali si prende il loro antilogaritmo. L’ORagg e i corrispondenti limiti di confidenza e il p si ricavano dall’analisi multivariata. Nell’analisi multivariata si inserisce la variabile distretto o la variabile ASL, se si vuole valutare se i servizi corrispondenti influenzano il ricorso a più di tre ecografie, rispettivamente a livello di ASL o a livello regionale.
2 - l’associazione tra chi ha principalmente assistito la gravidanza e la partecipazione ai corsi di accompagnamento alla nascita, aggiustando per le stesse variabili di prima. Nella tabella equivalente n è il numero di certificati che riportano la frequenza al corso.
3 – Associazione tra tipo di assistenza ed effettuazione di analisi prenatali, aggiustando per le stesse variabili più la partecipazione al corso.
4 – Associazione tra tipo di assistenza e tipo di parto (due modalità: TC, non TC), considerando oltre le variabili della tabella 3 anche la settimana gestazionale, il peso alla nascita e la eventuale gemellarità.
5 – Associazione tra tempo di attaccamento (entro due ore, oltre due ore) e modalità del parto, aggiustando per le variabili considerate nella tabella precedente;
6 – Associazione tra tipo di allattamento (esclusivo, non esclusivo o complementare o non allattamento al seno) e tipo di parto, aggiustando per le variabili precedentemente considerate
Si possono classificare i parti secondo le categorie di Robson (Robson MS. Can we reduce caesarean section rate? Best Pract Res Clin Obstet Gynaecol. 2001; 15:179-94) per vedere dove si hanno gli eccessi e l’eventuale effetto di riduzione di prevalenza che si potrebbe ottenere con adeguati interventi di auditing e di aggiornamento professionale.
Tabelle interessanti possono essere prodotte con lo stesso approccio rispetto alla natimortalità e alle patologie neonatali, comprese le malformazioni, analisi interessanti se riguardano livelli regionali o interregionali.
Se i CedAP devono servire, oltre che a descrivere la nascita, anche per valutare quanto gli obiettivi di salute siano perseguiti, in relazione alle pratiche raccomandate e a quelle effettivamente svolte e quanto queste siano associate agli obiettivi di salute (e il POMI rappresenta il termine di riferimento normativo), è necessario che i modelli siano adeguati alle esigenze e, pertanto , non possono non considerare la partecipazione a corsi di accompagnamento alla nascita, il tempo di attaccamento al seno, il rooming in e la modalità di allattamento (secondo la classificazione OMS: esclusivo, predominante, complementare, non allattamento al seno).
L’Istituto Superiore di Sanità si candida a organizzare e gestire un sistema di sorveglianza attivo sulla nascita a partire dai CedAP rivisitati, basato sul ruolo attivo dei centri nascita, delle ASL e delle Regioni. È scandaloso che non sia richiesto di farlo, visto che è organo tecnico scientifico del Servizio Sanitario Nazionale. Ha maturato credenziali di tutto rispetto nel gestire quello sull’interruzione volontaria di gravidanza, garantendo al Paese una informazione completa, tempestiva e accurata che non ha uguali.
Riferimenti:
Baglio G, Spinelli A, Donati S, Grandolfo ME. Valutazione degli effetti dei corsi di preparazione alla nascita sulla salute della madre e del neonato. Annali Istituto Superiore di Sanità 2000; 36(4):465-478.
Donati S, Andreozzi S, Grandolfo ME. I punti nascita universitari italiani promuovono l'avvio dell'allattamento al seno? Annali Istituto Superiore di Sanità 2003; 39(2):243-250.
Grandolfo ME, Donati S, Giusti A. Indagine conoscitiva sul percorso nascita, 2002. Aspetti metodologici e risultati nazionali. Atti della 12a Commissione permanente del Senato (igiene e sanità): Fenomeni di denatalità, gravidanza, parto e puerperio in Italia. n. 15 marzo 2005. XIV legislatura.: Senato della Repubblica, 2005
Donati S, Grandolfo ME, Andreozzi S. Do Italian mothers prefer cesarean delivery? Birth - Issue in Perinatal Care 2003; 30(2):89-93.
Donati S, Grandolfo ME. Il sostegno alla ripresa della vita sessuale delle donne che partoriscono, un argomento orfano di interesse. Annali Istituto Superiore di Sanità 2003; 39(2):235-241.
Donati S, Spinelli A, Grandolfo ME, Baglio G, Andreozzi S, Pediconi M, Salinetti S. L'assistenza in gravidanza, al parto e durante il puerperio in Italia. Annali Istituto Superiore di Sanità 1999; 35(2):289-296.
Grandolfo ME, Spinelli A, Medda E, Donati S, Baglio G. Fumo in gravidanza. .. -Abstract p. 168. 2002. Atti XXVI Riunione annuale della Associazione Italiana di Epidemiologia. Stile di vita e frequenza delle malattie in Italia - Napoli 24-26 settembre.
Grandolfo ME, Donati S, Giusti A, Medda E. La nascita: una sfida per i sistemi socio-sanitari e per le professioni ostetriche. In: Giambanco V, editor. Epidemiologia e Sanità. Cento FE: Editeam, 2004: 27-37.
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